Giuseppe Dell’Acqua
Non ho l’arma che uccide il leone

Classe ’47, ha avuto la fortuna di iniziare a lavorare con Franco Basaglia fin dai primi giorni triestini, partecipando all’esperienza di trasformazione e chiusura dell’Ospedale Psichiatrico. Tuttora vive a Trieste dove è stato Direttore del Dipartimento di Salute Mentale per diciassette anni fino all’aprile del 2012. Insegna psichiatria sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Ateneo di Trieste. Nel 1988 pubblica “Il folle gesto” che raccoglie l’esperienza sulla questione della perizia psichiatrica e del lavoro presso il carcere e nell’ospedale psichiatrico giudiziario. Nel corso dell’attività lavorativa ha svolto e organizzato consulenze scientifiche ed organizzative in varie sedi in Italia, in Europa e nelle Americhe tenendo cicli di conferenze, seminari, verifiche tecniche. Ha pubblicato un manuale, “Fuori come va? Famiglie e persone con schizofrenia”, rieditato nella III edizione da Feltrinelli Editore (2010). E’ tra i promotori del Forum Salute Mentale, avamposto per la tutela dei diritti delle persone con disturbo mentale. Nel 2007 ha pubblicato “Non ho l’arma che uccide il leone. Trent’anni dopo torna la vera storia dei protagonisti del cambiamento nella Trieste di Basaglia e nel manicomio di San Giovanni”, con un’inedita prefazione di Basaglia. Tra il 2009 e il 2010 è stato consulente scientifico e storico nella realizzazione della miniserie RAI “C’era una volta la città dei matti” sulla vita e l’operato di Franco Basaglia. È ora impegnato nel campo dell’editoria come direttore della collana “180 archivio critico della salute mentale”.

Non ho l’arma che uccide il leone.
Siamo agli inizi degli anni settanta. Prima a Gorizia, poi nell'ordinato e fiabesco parco sulla collina di San Giovanni che nasconde il manicomio di Trieste, Franco Basaglia inizia a scardinare i cancelli della psichiatria, a liberare - una a una - le persone che vi sono rinchiuse, a cancellare per sempre dai corpi e dalle menti il duplice marchio del "pericolo" e dello "scandalo" che leggi, usanze e costumi conferivano alla follia e al folli: poveri, pericolosi e scandalosi. Che ricominciano a respirare, a parlare, uscire, camminare, sognare e raccontare i propri sogni, ritornando a essere ciò che sono. Persone, cittadini con un nome, un cognome, un indirizzo, una professione, un conto in banca, uno stato civile, un campo d'azione dove giocarsi un futuro. Peppe Dell'Acqua, giovane psichiatra arrivato a Trieste, registra queste voci. E da quell'ascolto prende vita una grande e unica testimonianza, mai sentita prima. Ed ecco che "Non ho l'arma che uccide il leone" diventa un classico che, come tutti i classici, ha la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto: quell'attimo fuggente e magico in cui viene scritto un pezzo di storia, dopo il quale niente sarà più come prima.

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